Il National Trust for Historic Preservation ha intentato una causa presso il Tribunale distrettuale degli Stati Uniti per il Distretto di Columbia contro il presidente americano Donald Trump, il National Park Service e altri funzionari dell’amministrazione, chiedono la sospensione immediata della costruzione della nuova sala da ballo alla Casa Bianca.
Secondo il Trust, il progetto è andato avanti senza il necessario processo di revisione federale e senza il periodo di consultazione pubblica previsto dalla legge, nonostante la demolizione dell’ala est sia già stata avviata. Al centro del ricorso c’è una struttura definita dagli oppositori “un monumento all’eccesso”: 90mila piedi quadrati di superficie, un costo stimato di 300 milioni di dollari e una capienza fino a 1000 ospiti. I rendering diffusi dall’amministrazione mostrano interni dorati, grandi lampadari e uno stile sfarzoso che, secondo i preservatori, richiama più un casinò di Las Vegas che la sobria monumentalità della Casa Bianca. Trump ha difeso l’opera sostenendo che una nuova sala di grandi dimensioni sia necessaria per ospitare importanti eventi di Stato, ma le associazioni per la tutela del patrimonio parlano di una deturpazione irreversibile di un simbolo nazionale.
Nel testo della causa il National Trust afferma che nessun presidente, indipendentemente dal nome o dal partito, è legalmente autorizzato ad abbattere parti della Casa Bianca o a costruire nuove strutture su suolo pubblico senza un’adeguata revisione e senza consentire ai cittadini di esprimersi. La Casa Bianca, sottolinea il ricorso, non è una proprietà privata ma un’istituzione pubblica, appartenente al popolo americano, della quale ogni presidente è solo un custode temporaneo. L’azione legale viene presentata come una battaglia di principio, volta a riaffermare che anche il capo dello Stato è vincolato dalle leggi sulla tutela del patrimonio e dalla trasparenza amministrativa.
Resta però una domanda che pesa sull’intera vicenda: perché il National Trust non è intervenuto prima, evitando che l’ala est venisse ridotta in macerie? Secondo i conservazionisti, la risposta risiede nella strategia dell’amministrazione Trump, che avrebbe mantenuto i piani volutamente opachi, eludendo i normali canali di avviso pubblico e le procedure di revisione che avrebbero consentito un’azione preventiva. In assenza di un danno imminente e dimostrabile, spiegano, un ricorso anticipato avrebbe rischiato di essere respinto come puramente ipotetico. Quando sono iniziate le demolizioni, però, il danno è diventato concreto e giuridicamente contestabile, seppur al prezzo di una perdita già consumata. I muri dell’ala est sono stati abbattuti, lasciando spazio a gru e detriti in uno dei luoghi più simbolici della democrazia americana. Anche un’eventuale vittoria in tribunale potrebbe fermare i lavori futuri, ma non restituire ciò che è stato distrutto.
La vicenda assume così i contorni di una responsabilità arrivata troppo tardi. La causa del National Trust rappresenta un duro atto d’accusa contro quella che viene descritta come la propensione di Trump allo spettacolo e all’eccesso, ma mette anche in luce i limiti della legge quando le regole vengono aggirate con rapidità e decisione. La Casa del Popolo, avvertono i preservatori, è già stata sfigurata, e il caso diventa un monito per il futuro: la tutela della storia richiede vigilanza prima che la palla da demolizione colpisca, non dopo.
