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Scienza e Salute

Psiconcologia e metodo Simonton, i benefici sui malati di cancro

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La diagnosi di cancro provoca emozioni intense, spesso dirompenti: paura, ansia e disperazione impattano sulla condizione mentale e fisica del paziente. Secondo la psiconcologia, infatti, il benessere mentale e quello fisico sono strettamente correlati. Migliorare l’equilibrio emotivo e psicologico del paziente può quindi influenzare positivamente l’efficacia delle cure mediche e la qualità della vita. Per questo, è innanzitutto necessario prendere coscienza delle proprie emozioni e accettarle, dando così il via a un processo di elaborazione che coinvolge il malato e le persone che ha attorno, aumentando resilienza, flessibilità e la possibilità di concepire nuove prospettive e nuovi significati. Sono questi alcuni dei temi trattati da Elena Canavese, counselor specializzata nel trattamento dei malati oncologici, in particolare con il metodo psiconcologico Simonton.
“La psiconcologia è l’insieme di quegli strumenti che servono alla persona per essere sostenuta nel percorso di cura, guarigione e trattamenti clinici – ha esordito – E’ un sostegno ulteriore a livello psicologico ed emotivo. Quando una persona riceve una diagnosi infausta, la prima cosa che arriva è la paura e quindi lo smarrimento. Il nostro obiettivo è aiutare la persona a essere consapevole di vivere una situazione di stress, quindi quello di invitare la persona a redigere la lista delle cose che producono stress, che possono essere persone, situazioni, luoghi – ha spiegato Canavese – E accanto a queste cose c’è la lista della gioia, con cui aiutiamo la persona a individuare quelle cose che producono una soddisfazione, le aiutiamo a trovare quelle cose magari già presenti nella loro vita e per loro significative”.
Alla base di queste tecniche c’è il metodo Simonton: “Nasce come un programma di aiuto per tutte quelle persone che vivono la malattia oncologica o quelle croniche, e che vogliono partecipare attivamente al loro percorso di cura – ha sottolineato – E’ stato messo a punto dall’oncologo americano Simonton, che a partire dagli anni ’60 ha iniziato a osservare i pazienti e si è reso conto che le persone che avevano sviluppato fiducia, buone ragioni per vivere e coltivato la speranza, avevano risultati in termini di prognosi e sopravvivenza diversi dagli altri. E’ difficile ma semplice, lui aveva capito che il malato oncologico ha la necessità di avere strumenti facili a disposizione, che gli diano la reale percezione di poter apportare un cambiamento nella propria vita e nel minor tempo possibile – ha ribadito Canavese – Simonton si è chiesto come poter aiutare chi in modo autonomo non ha dentro quel senso di fiducia e speranza, affinchè possano svilupparsi e incidere nel proprio percorso di cura e guarigione. E’ partito indagando e sperimentando, si è affidato alla psicologia, alle tecniche di rilassamento, alla riduzione dello stress”.
E sulle cosiddette “convinzioni malsane e limitanti”: “E’ uno degli strumenti che usiamo per aiutare la persona a uscire da quella gabbia – ha raccontato – Per esempio, la frase ‘non guarirò maì noi aiutiamo a trasformarla non in un pensiero positivo, ma in un pensiero sano. Il pensiero positivo sarebbe ‘guarirò sicuramentè, ma non possiamo certo saperlo, il pensiero sano invece è ‘posso guarirè, indipendentemente da come ci si sente in quel determinato momento, e ‘posso anche non guarirè, e in ogni caso potendo vivere pienamente la vita di ogni giorno”. “Praticando a lungo un pensiero, se è una condizione sana e radicata, questo diventa una nuova abitudine. Noi siamo come degli allenatori – ha riconosciuto sul ruolo dei terapeuti psiconcologici – Sollecitiamo la persona a creare una ritualità, e a integrarla: solo quando è integrata, questi pensieri possono diventare abitudini e atteggiamenti nuovi e sani”.
Infine, sull’importanza di prendersi cura di sè, anche con i gesti più semplici: “C’è un gioco che pratichiamo con le persone che si rivolgono a noi, ovvero farsi un puntino sulla mano – ha concluso Canavese – Tutte le volte che l’occhio cade lì, dobbiamo rallentare e chiederci ‘come mi sento in questo momento?’ e ‘cosa posso fare per me per sentirmi meglio?’ Soddisfare un bisogno, come anche solo bere un bicchiere d’acqua, è un piccolo modo per avere cura di noi”.

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