Liguria
Imperia, per il procuratore Alberto Lari “ci vuole la protezione per lavorare a Diano”
“Ci sono ambientali molto chiare sul punto: a Diano Marina, se ‘tu vuoi lavorare, devi chiedere la protezione a me’. Qui ci riallacciamo al discorso che ho sempre fatto sulle denunce: mai una volta che ci sia una denuncia in questa provincia. Abbiamo avuto delle persone che per riuscire a lavorare dovevano chiedere la protezione degli imputati, ma tutti hanno preferito soggiogarsi. Tant’è vero che ci sono capitoli interi degli atti, che riguardano quello che è stato definito il metodo mafioso: l’indagine è poi finita alla distrettuale di Genova perché è stata contestata l’aggravante di aver usato un metodo mafioso”. Lo ha detto il procuratore di Imperia Alberto Lari ieri sera, nel corso della conferenza “Mafia: conoscerla per prevenirla e combatterla”, che si è svolta nella sala consiliare di Diano Marina, alla presenza, tra gli altri, di Carlo Alberto Indellicati, presidente della Sezione Penale del tribunale di Imperia, che ha condiviso la propria esperienza, offrendo un’analisi delle dinamiche mafiose, con particolare riferimento al contesto ligure. L’evento è stato anche l’occasione per commentare la recente sentenza di primo grado al processo sul presunto traffico di droga dalla Calabria alla provincia di Imperia, con base operativa proprio nel Dianese, che si è chiuso con 22 condanne. “E quando il gip nell’ordinanza parla del metodo mafioso – aggiunge Lari – evidenza dei dati inconfutabili, perché sono dati da ambientali molto chiare, che dimostrano, ad esempio, che se io spaccio droga in questa zona devo avere l’autorizzazione di queste persone, ma ragionevolmente queste persone non mi daranno l’autorizzazione per cui subirò violenze o intimidazioni perché in questa piazza “ci lavoriamo solo noi””. Il magistrato ha poi portato l’esempio di albanesi, che avevano provato a inserirsi nel mondo della droga “e che sono stati redarguiti in maniera violenta e pesante dagli imputati. Abbiamo situazioni in cui si è passati alle minacce” del tipo “‘al massimo, se proprio vuoi lavorare, lavori con noi’, nel senso di ‘per noi’, fino al punto di arrivare a una situazione in cui c’è stata una sorta di sequestro di persona”.
Il procuratore ha portato pure gli esempi di persone costrette, nel caso di debiti, a cedere l’auto o la moto. “Una persona poi è stata obbligata a inginocchiarsi ed è stata picchiata mentre a un cliente che non si era comportato bene nei pagamenti, è stato minacciato con frasi del tipo “Guarda che ti sparo nella bocca”.
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